Buon anno ragazzi, emozionatevi ed emozionateci!
di Mario Martino
Driiin. Le prime campanelle del nostro stivale hanno già scandito il tempo del rientro. In alcune regioni d'Italia oggi si ritorna tra i banchi di scuola (rigorosamente a rotelle!) e si dà avvio ad un nuovo anno scolastico che promette più sorprese di quante non ne prometta la ministra Azzolina. Ad ogni modo, sorprese e promesse a parte, oggi vorrei spendere qualche parola per gli indiscussi protagonisti della scuola: alunni e docenti.
Nel suo "Prima che tu venga al mondo" (Solferino editore, 2019), il giornalista e scrittore Massimo Gramellini, in un bel passaggio sull'importanza della scuola, mi ha dato il La per accordarmi ad un augurio "emozionante".
"[...]Qualcuno ti dirà che la scuola serve solo se riesce a trovarti un lavoro. Non credergli. La scuola serve se riesce a fornirti gli strumenti per gestire un sentimento, smascherare un ciarlatano e ammirare un tramonto, non solo una vetrina" scrive nel suo saggio l'editorialista del Corriere della Sera.
Il riferimento è ad un bambino ancora non nato, alla cui nascita il papà si sta preparando mese dopo mese, cercando di riscoprirsi, oltre la soglia dei cinquanta, bambino, uomo e padre. L'amorevole ammonimento che il padre rivolge al suo futuro figlio, è adatto per tutti gli studenti che oggi tornano tra i banchi della loro seconda casa.
L'invito a non credere alla scuola come ad un centro per l'impiego è al contempo un vero e proprio inno all'emozione dell'apprendimento e all'arte dell'insegnare. Un inno agli alunni e ai docenti.
Gramellini ricostruendo l'immagine del tramonto (in contrapposizione all'immagine della vetrina) ci restituisce l'unica legge universale della scuola: l'emozione.
Emozionare (dal francese émotionner) significa "mettere in moto", muovere, agitare, turbare. Chi si emoziona, si dimena e si libra; non sta mai fermo nelle proprie certezze e percorrendo le educative strade delle crisi, scopre che alla fine del cammino ci sono crasi che valgono l'intero prezzo dell'incertezza e di quella che sembrava essere un'interminabile fase di maturità.
Uno studente che non si emoziona è uno studente che non vive crisi, e uno studente che non vive crisi sarà un vecchio in crisi (perché le certezze invecchiano), invece di essere un eterno bambino in crasi. Idem per un professore o per una professoressa.
È importantissimo (!), dunque, che uno studente abbia l'ansia per la verifica di matematica o per la versione di greco, così come è importantissimo dannarsi l'anima quando non si capisce qualcosa ed è altrettanto importante provare quel leggero sentimento di imbarazzo nell'alzare la mano e dire "non ho capito". Si, lo so piangere su una versione o strapparsi i capelli per un problema di matematica vi sembreranno esempi catastrofici, niente affatto: sono semplicemente emozioni. Mentre vi disperate perché sul dizionario quella parola pare non ci sia, in realtà vi state emozionando; in quel momento il greco vi sta turbando, agitando, muovendo e librando. Lo stesso vale per le vostre lacrime su equazioni improponibili, su soluzioni che l'autore del vostro manuale pare abbia inserito appositamente e certamente errate. In quei momenti c'è bisogno della vostra massima concentrazione e del massimo sforzo del vostro docente: è il momento più alto dell'apprendimento, non dimenticatelo!
Quando si è studenti ci si trova ad emozionarsi davanti a numeri e lettere, tanto quanto ci si emoziona per il primo amore (magari sbocciato tra i banchi o magari nato dalla crasi di due scuole vicine, chissà...). Certo, amore, greco e matematica non producono la stessa emozione (ci mancherebbe!) ed è proprio qui che la scuola interviene e ai professori (che conoscono a memoria le regole, ma che ogni anno devono studiarle di nuovo perché la stessa emozione non è mai uguale per tutti e perché nessuno si emoziona ed impara come un altro) spetta quella straordinaria missione di emozionarvi e mettervi in moto magari non solo per la durata di qualche anno scolastico.
Un buon docente oltre ad emozionarvi, deve poi spiegarvi come ci si emoziona bene. Oh certo, ci si può emozionare anche male...
C'è una grammatica delle emozioni (o anche una chimica delle emozioni, una fisica delle emozioni, una filosofia delle emozioni e si, finanche una matematica delle emozioni) che può aiutarvi ad interpretare tutte le vostre "irrisolvibili" crisi, a catalogare i vostri brividi, a organizzare le vostre sensazioni nelle infinite caselle che tutti abbiamo tra la mente ed il cuore. Solo in questo modo l'emozione non è un moto fine a se stesso.
Insomma, la grammatica delle emozioni è uno strumento utilissimo per dare un nome ai vostri pianti, ai vostri mal di testa, anche alle vostre risate, al vostro primo bacio ed anche alle vostre furbate scolastiche (...). Cosa c'entra con la lezione di fisica o con l'interrogazione di scienze?
Assolutamente, tutto!
La causa principale di ogni analfabetismo è l'analfabetismo emozionale. Chi non sa emozionarsi o non sa di emozionarsi è condannato all'ignoranza eterna, anche se è plurilaureato e fa il ricercatore in America. Si può essere ottimi matematici o ottimi letterati solo se la matematica e la letteratura ci turbano, ci agitano, ci gratificano e quindi ci emozionano. La scienza ci insegna che l'emozione è la reazione ad un cambiamento, in sostanza una indispensabile forma di adattamento alla diversità (si, perché alla diversità ci si deve adattare non la si deve fuggire, non la si deve offendere, combattere o affondare...).
Chi non sa emozionarsi non sa adattarsi ed avrà più paura della diversità; chi non riconosce una determinata emozione, inoltre, non saprà canalizzarla e non saprà sfruttare al massimo quel moto. Magari sale a bordo di un'incertezza per scendere giusto un centimetro dopo il suo naso, inconsapevole che quella incertezza (quella crisi, quel brivido, quella emozione) poteva essere un treno ad alta velocità per una soddisfazione.
Non emozionarsi e non emozionare è il danno più grave che si può infliggere alla scuola e a se stessi.
E allora, cari ragazzi e care ragazze, l'augurio che vi fa quest'anno un supplente precario è quello di emozionarvi perché mentre vi dannate e poi sorridete per le vostre crisi, noi ci emozioniamo quanto voi e dimentichiamo, nell'arco di un'ora di lezione e nello spazio incontaminato di una classe, che la nostra è un'emozione precaria che può durare un anno, un mese o qualche giorno.
Quando voi imparate, quando vi emozionate, noi abbiamo davanti ai nostri occhi uno spettacolo che ci fa capire come mai accettiamo e accetteremo per sempre due ore in un paese, cinque in un altro e dodici minuti e mezzo in un altro ancora, lontani dalle nostre case, con la speranza di potervi dire un giorno che non interrompiamo quel discorso sulle emozioni perché finalmente, anche il prossimo anno, saremo i vostri professori...
Vi abbraccerei uno per uno, ma viva Dio, siete troppi!
