Chiesa della SS. ma
Ai margini del borgo, inserita in un paesaggio naturale di gran suggestione e bellezza quasi selvaggia, sorge la Chiesa della Santissima Annunziata di Ceppaloni. Secondo Pietro Rossi la Chiesa “fu edificata dal Comune (cioè dal Popolo) nel 1567”, e la stessa data è indicata da Cherubino Martini. Occorre tuttavia rilevare che gli inventari orsiniani assegnano la fondazione al 1507, mentre un documento nel regesto delle pergamene dell’abbazia di Montevergine riporta la SS. ma Annunziata il 9 gennaio del 1453. Si può allora ipotizzare la presenza, probabilmente nello stesso sito, di una costruzione più antica, che è stata successivamente riedificata o ristrutturata. I primi religiosi insediati nell’annesso convento sono i padri osservanti, sorti in seno all’ordine francescano nel XV secolo, per riproporre la fedeltà assoluta alla regola del Santo fondatore.
Successivamente, ma s’ignora con precisione quando, subentrano i servi di Maria, documentati fino al 1650, ai quali si deve il nuovo titolo della Chiesa: Santa Maria dei Martiri. Segue, nella seconda metà del XVII secolo, un periodo di decadenza, comune a tante istituzioni religiose, come conseguenza dell’apocalittica terrificante pestilenza del 1656 che ebbe a desolare il Regno di Napoli. La Chiesa viene abbandonata ed è incerto se il convento diventa un rifugio di ladri o piuttosto una comoda fruizione del diritto di asilo. La carenza di documenti non permette di stabilire la realtà storica. Un avvio di ripresa si ha con la venuta dalla Versilia di giovani aspiranti alla vita religiosa. Per Ceppaloni c’è una testimonianza di questa presenza con il servo di Dio Fra Clemente da Terrinca. Ma ad aggravare il quadro giunge con inaudita violenza il terremoto del cinque giugno 1688. L’arcivescovo del tempo, il cardinale Vincenzo Maria Orsini, nell’attuare, con pastorale e autentica paterna sollecitudine, la ricostruzione nell’ambito della sua Chiesa, stabilisce un primo importante contatto con i fedeli, attraverso il mezzo della missione. Come documentato da Giovanni Giordano, il due maggio 1691 arrivano a Ceppaloni i “Padri missionari Preti della Congregazione de propaganda fide”, diretti da Don Antonio Lucina. Riparati la Chiesa e il convento, Orsini li affida, in una Pubblica cerimonia che si svolge il tre gennaio 1706, ai Padri Francescani riformati. Osserva in proposito Martini che il cardinale Dopo la soppressione dei Conventini ordinata da Innocenzo X con la bolla “Instaurandae” del 15 ottobre 1956, l’arcivescovo Orsini con decreto del 17 luglio 1708 assegna la chiesa e il convento alla confraternita di S. Antonio da Padova. La documentazione storica per l'età orsiniana è arricchita dalle epigrafi marmoree in latino, murate sulle pareti della chiesa che trovano un preciso e puntuale riscontro nel “Synodicon Dioecesanum S. Beneventanae Ecclesiae”, epigrafi orsiniane sulle quali s’è fatta spesso una “facile” ironia ma che oggi sono diventate, per le perdite archivistiche, fonti uniche di informazioni in tanti casi. Così, dall’epigrafe posta sulla contrafacciata, a destra di chi entra, apprendiamo che la chiesa, con il suo altare maggiore in onore di Dio e della Vergine Maria Annunziata, è consacrata da Orsini il 1 novembre 1716; mentre i due altari minori sono consacrati due giorni dopo, il 3 novembre. Dal “Synodicon “ risulta che detti altari sono: uno, in onore di Cristo, S. Maria degli Angeli, S. Nicola, S. Liborio, S. Francesco di Assisi; l’altro, in onore di Cristo e S. Antonio di Padova. Segue, in ordine cronologico, l’epigrafe murata oggi sulla controfacciata, a sinistra di chi entra, ma in realtà relativa all’oratorio annesso alla chiesa. Secondo il testo dell’iscrizione l’altare in onore di Cristo, della Vergine e di S. Antonio di Padova viene consacrato da Orsini il 9 settembre 1722. Come emerge dall’epigrafe murata sulla parete della navata destra, della Vergine e di S. Pasquale Baylon, di diritto di patronato della famiglia Troysi. L’ultima epigrafe, murata sulla parete della navata sinistra, informa che l’altare minore il 23 gennaio del 1727 viene dedicato a Dio in onore della Vergine e di S. Bernardino XIII, da Siena da mons. Giovanni Ghirardi, vescovo di Montemarano, su mandato di Benedetto XIII, papa Orsini, arcivescovo ancora di Benevento. Accanto ai frati Francescani, come è ovvio in una chiesa dell’ordine, vale la pena rilevare dalle dediche la presenza di S. Liborio, legata forse a fatto devozionale particolare del committente del dipinto che ornava l’altare. Il 6 marzo 1780 la confraternita di S. Antonio di Padova ottiene il regio assenso ed è giuridicamente riconosciuta con decreto del 26 luglio dello stesso anno. Circa la presenza dei religiosi nel convento dalle ricerche condotte da Porcaro nel “ Liber status animarum” (oppure “Liber Baptizatorum”) dell’archivio parrocchiale risulta che, nel 1738, questi sono 15, e nel 1785 sono 11 sacerdoti e quattro fratelli laici. Agli inizi del XIX secolo, precisamente nel 1802, sono presenti 20 religiosi tra sacerdoti, terziari e fratelli laici. Le vicende risorgimentali con il loro esasperato anticlericalismo incidono ovviamente sullo stato e la destinazione di questi luoghi sacri. Nel 864, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi, la chiesa e il convento della SS. Annunziata diventano proprietà della confraternita di S. Antonio. Ma la vicenda dei Francescani a Ceppaloni si chiude definitivamente nel 1902, quando il vicario generale, padre Davide Fleming, nel capitolo celebrato nell’agosto di quell’anno dispone l’abbandono del convento, per l’impossibilità a costituirvi una comunità regolare. Scrive Rossi nel 1922: attaccato alla Chiesa è l’ex Convento, adibito ora ad alloggio del Cappellano, a Caserma dei RR. Carabinieri, ad Asilo Infantile ed (abitazione) annessa per le suore. Successivamente il convento diviene sede dell’amministrazione comunale, situazione questa tuttora perdurante. Nelle Chiesa, invece, il 24 febbraio 1926, con decreto della Curia Metropolitana di Benevento, in seguito a domanda dell’arciprete Pietro Rossi, è trasferita la sede della parrocchia sotto il titolo di S. Nicola di Bari. Nella seconda metà degli anni ’30 la Chiesa subisce un lento progressivo degrado, come si ricava dal seguente passo di Rossi relativo agli altari minori, che fornisce una serie preziosa di informazioni sui titoli, sui titoli sui proprietari e sullo stato degli altri altari stessi: Oltre l’alate maggiore, vi sono sette altari; 1° l’altare della SS. Annunziata, tutto in fabbrica compresa la mensa, con statua tarlata, della famiglia Sellitti, abbandonato, no vi si praticano funzioni. V’è giudizio con il Sellitti per la manutenzione. 2° altare di S. Francesco in marmo, con statua tarla- della famiglia Sellitti, abbandonato. 3° altare di S. Pasquale Baylon- in muratura, la mensa di pietra comune- abbandonato, il proprietario è povero. 4° altare di S. Anna- tutto in muratura, compresa la mensa, della famiglia Iannotti-… - abbandonato – non vi si praticano finzioni. 5° altare di S. Nicola – tutto in marmo- statua restaurata nel 1934 dall’attuale Arciprete – l’altare un tempo era del principe Monteroduni – ha ll.36 annue di rendita per la manutenzione. 6° altare di S. Giustino martire – tutto di legno- mobile- con statua vestita- della famiglia Iannotti – abbandonato - non vi si praticano funzioni. 7° altare dell’immacolata – tutto caduto - la statua deperita – tutta tarlata>>. Gli anni che stiamo vivendo sono caratterizzati da un programma intenso di riprese i di interventi restaurativi che hanno cercato, per quanto possibile, di ripristinare l’antico decoro della chiesa e del convento. Ma qui il discorso storico si arresta per lasciare il posto a cronaca che è del nostro presente.