Per la festa della mamma
Credo che oggi la festa della mamma debba essere più degli altri anni: festa e ricordo. Festa, perché non è mai troppo per chi ci ha dato la vita, ci ha tenuto con sé, nella propria intimità, per il tutto il tempo necessario perché potessimo affacciarci al mondo.
Ricordo, in quanto non possiamo, né dobbiamo dimenticare le tante nonne, e quindi mamme, che sono state portate via dalla “tempesta perfetta” scatenata dal Coronavirus. Pensavano, come sempre, di ricevere gli auguri, un fiore e di restare per un po’ con i loro figli, con i loro nipoti, ma un virus malefico, subdolo, silenzioso le ha portate via nella totale solitudine,lontane dagli affetti più cari. Confortate dalle tante infermiere, dalle tante dottoresse , e non solo, che non si sono mai stancate di lottare, anche se, spesso, invano,per salvare quelle vite in cui certamente vedevano riflessi i volti delle loro mamme e dei loro padri.
Dietro a quelle divise, dentro a quegli “scafandri” ha pulsato sempre un grande cuore di mamma che ha fatto risplendere una goccia di splendore, di umanità in corridoi e stanze asettiche degli ospedali; esse, per quanto possibile, hanno cercato di sostituire la presenza della famiglia, mostrando sensibilità, amore, compassione, rispetto, verso chi, stremato dalla malattia,chiedeva con affanno, la possibilità di videocomunicare con i propri cari per donare l’ultimo sorriso e fissare nel cuore, per sempre, i volti dei propri figli e nipoti che non avrebbe più rivisti.
E’ la festa delle mamme che, in piena pandemia di Covid 19, sono rimaste in casa a lavorare servendosi dell’opportunità data dal “lavoro agile” o smart working, ma continuando, nella maggior parte dei casi, a preparare tutto il necessario per la giornata e a dedicarsi, con diligenza e intelligenza, alla cura dei figli (non sarebbe male se ad occuparsene fossero anche i papà! Per dimostrare che la cultura maschile sta cambiando, per lo meno, nel chiuso della casa)
E’ la festa di tutte le mamme che hanno guadagnato, lottando, il loro posto nella società e nella storia: basti pensare a come le madre, solo perché lavoravano,venivano accusate di disertare il focolare, di abbandonare le famiglie per un salario integrativo e … a causa della femminilizzazione dei mestieri … ormai si calpestano le culle … scriveva Pierre Hamp nel 1919.
Il lavoro delle donne, in particolare quello delle donne sposate, e, quindi, delle mamme, fu visto come l’origine di ogni male: denatalità, mortalità infantile, disgregazione della famiglia, degenerazione dei costumi e resa dei genitori di fronte all’educazione dei figli. Perché, oramai, con la guerra alle spalle, la donnadoveva ritornare al focolare domestico, pur avendo dimostrato, nei momenti di grandissime difficoltà attraversate dalla Nazione, di essere in grado di sostituiree svolgere lavori ed attività degli uomini inviati al fronte per combattere una guerra di cui tanti ne ignoravano le ragioni.
E’ la festa e il ricordo di tutte le madri che non ci sono più perché gli anni, le malattie le hanno portate via già da tempo, ma non per questo dimenticate. Mia madre manca da ventitré anni e mai è venuta meno nell’affetto, nell’amore, nel ricordo che porto sempre con me e che non mi lascerà che alla fine dei miei giorni, perché Il cordone ombelicale che, materialmente si spezza con la nascita, idealmente, resta sempre vivo in una parte di noi stessi e viene meno solo con la fine dei giorni.
Come poter dimenticare chi ha vissuto per tutti i giorni della propria vita chiusa nelle quattro mura di una casa e nel “recinto” del paese, intenta a far da mangiare, lavare, pulire, stirare, preparare il pranzo da portare in campagna al marito e agli uomini chiamati per aiutare a dissodare la terra.
Mi sembra di rivederle, sul fare della sera, ritornare dalla campagna con le pecore davanti, con un carico di legna ecu’ “cate” di verdure e frutta e, spesso, con i figli che il padre - padrone affidava alle cure della madre per potere, eventualmente, incolparla, in caso di problemi, di non aver saputo crescer!! Rigida divisione dei compiti: il papà era l’autorità; la mamma, invece, la voce del cuore: perché le cose essenziali sono invisibili agli occhi, diceva Il Piccolo Principe.
Una donna - madre non istruita perché non aveva avuto la possibilità di studiare, analfabeta, per cui quando riceveva notizie dall’estero doveva recarsi dal prete o da qualche letterato del paese per farsi leggere la lettera e, poi, agli stessi affidare le parole da trascrivere e inviare … par avion … ricordo che così era scritto sulle buste.
Altri tempi. Altre storie, che, per fortuna, sembrano fare parte di un tempo davvero lontano, anche se, ogni tanto, come i fenomeni carsici, tendono a riemergere.
Nel fare gli auguri a tutte le mamme, riporto versi trattida una poesia e una canzone che raccontano il rapporto intenso che c’è tra madre e figlio. E, visto che siamo ancora in lockdown, non si può uscire fuori dalla Regione, mi sono fermato a Napoli.
CORE ‘ E MAMMA di Giovanni Capurro
So ‘ mamma! Sta parola è nu’ dulore
quanno pe’ ‘figlie nun nce sta cchiù pane
T’e’ strigne mpietto: Gioia ‘e mamma, Ammore. …
forse, se magnarrà quann’è dimane!
Dimane!? E tu te siente squartà ‘o core
te guardane, chiachènne, mmiezze ‘e mmane!
Piatà! St’aneme e Ddio cu ‘e carna ‘a fore
Mme morrono, tremmanno come ‘e cane!
E st’angiulillo? … Peppiniello mio!
no, nun murì, mamma te tene nzine
nfunnenne ’e chiante i ricciulille d’oro
Pe’ carità, v’o cerco a nomme ‘e Ddio
sarvate ‘e creature, e si è destino,
Marò, tu lievammenne nziemme a loro.
A Voce e Mamma di Russo – Genta
Voce ca tutt’e ssere te ne vaje
Chiamanno tutt ‘e figlie ‘e mamma ‘a miez’ a via
Tu nun’o ppuò capì che bene faje
Si mme tiene nu poco compagnia
Fermate pe’ na vota sulamente
da voce ‘e mamma famme ricurdà.
Tutt’’ e mamme se’ chiamanne
’e figli a’ sera
sultanto ‘a voce e mamma
Io nun’a sento …
E conto tutt’e lacrime chiagnute
a quanno ‘o bene ‘e mamma
aggiu perduto.
St’uocchie mieje
stracque ‘e chiagnere
pe mmiezz’a via
dint’a sti vvoce cercano a mamma mia
Vecchiarella vecchiarè
tropp’ è ‘u dulore che tu m’ hai dato
nu minuto, vieneme ‘zuonnne
tornam’ a me vasà, tornam’ a me chiamà.
Mamma na vota sole me cchiammaje
Teneva a faccia d’a malincunia
Pò n’angiulillo ‘ncielo s’’a purtaje
E rimanette i sulo mmiez’a via
E quanno ‘a sera, chesti vvoce sente
Nnanz’a chist’uocchje io veco ‘a mamma mia
Beniamino Iasiello
